Immagino che per buona parte di noi lasciarsi la civiltà e l’umanità alle spalle e tuffarsi nel bosco per stare in armonia con la natura sia il primo motivo che ci spinge a praticare la mountin bike. Ma parliamoci chiaro, quando si imbocca in discesa il sentiero che ci piace e si chiude la vena, addio buoni propositi e giù a tutto gas.
Praticando anche cross country spesso anche la salita diventa momento di sfida e perciò anche quella fase in cui la velocità è ridotta e si potrebbe godere appieno di ciò che abbiamo intorno, diventa concentrazione e focus sulla prestazione.
Mi capita a volte di rientrare da un giro in bici e accorgermi che non ho goduto pienamente dell’ambiente che mi circondava e questo accade spesso vuoi per l’adrenalina in discesa con l’enduro o per il passo da allenamento con l’xc. Per questo sento spesso il bisogno di ricongiungermi con la natura, come se l’avessi trascurata durante il giro in mtb.
Ed è così che questa dimensione l’ho ritrovata nel trail building. Oltre all’indubbia utilità di mantenere in ordine e in sicurezza i sentieri, è una attività che davvero riporta noi ciclisti del fuoristrada a rallentare i ritmi e permetterci di godere di ciò che ci circonda.
Un vero toccasana per liberarsi dall’opprimente vita sedentaria da piccolo impiegato che mi inchioda ad una poltrona 8 ore al giorno che logora anima e corpo. Riprendere contatto con il bosco e tenerlo in ordine in primis per permetterci di girare serenamente e in secondo luogo per riscoprirlo appieno e ristabilire quel legame primordiale che abbiamo nel profondo.
Gli amici oltreoceano hanno coniato lo slogan “no dig, no ride” un po’ per spronare tutti a contribuire alla manutenzione sentieristica, ma io lo rilancio per riconnettersi per davvero con la natura visto che la prestazione come principale obiettivo sta velocemente prendendo sopravvento nel nostro sport.
Se vi sentite oppressi e magari siete nella settimana di scarico prendete la zappa e andate a fare manutenzione sui vostri sentieri, ne tornerete rigenerati.