Il downcountry è la tendenza del momento e insieme ai vari esperimenti nel neonato settore gravel viene proposta anche questa come la rivoluzione che stavamo aspettando, un po’ come tutte le varie novità del settore bici. Assistiamo a un rincorrersi dei vari marchi a fare la versione a lunga escursione delle bici da XC saldamente presenti nei cataloghi di tutti i marchi. Ma se grattate via la luccicante patina del marketing vi accorgerete che sotto c’è qualcosa di estremamente noto agli appassionati del settore: le full da 120 millimetri.
Era il 2016 quando decisi di acquistare una Cannondale Habit provata a quello che all’epoca si chiamava Bike Shop Test, oggi meglio noto come Italian Bike Test. Era un modello che usciva quell’anno e veniva presentata come un’arma da trail agile ed efficace: escursione 120 anteriore e posteriore, carro “Zero Pivot” che sfruttava la flessione dei foderi, manubrio largo e, ahimé, ruote da 27,5.
Escluse le ruote, siamo di fronte agli aspetti che oggi ritroviamo nelle downcountry (in maniera molto concettuale visto che le quote geometriche e tanti altri aspetti si sono evoluti). Cerchiamo però di avere flessibilità mentale, sto riflettendo sul concetto della tipologia di bici proposta e di quanto sia nuova questa “idea”, non sto dicendo che una bici del 2016 sia identica alle moderne downcountry. Però l’idea..
Capii subito il potenziale di mezzi di questo tipo, né frustini super rigidi da marathon, né carriponte da freeride. Il classico ibrido che non eccelle in niente ma fa bene tutto, niente di meglio per un biker mediocre come me senza una gamba decente per andare forte in salita e senza la tecnica e il talento per andare forte in discesa. Ero totalmente innamorato della mia Habit e ancora oggi la ricordo con estremo affetto, ma un nuovo bike test arrivò e fu così che acquistai la Spark del 2019.
Al tempo Scott proponeva la versione “tradizionale” della Spark proprio con escursione 120/120 e la relegava al segmento trail. Furbescamente presero il telaio della versione RC, aggiustarono qualcosa qua e la e ci misero forca e ammo da 120 creando senza saperlo una downcountry.
Io ho sempre denominato la Spark una XC, perché io ci faccio XC e ce lo faccio tranquillamente da utente medio. Ricordo ancora quando arrivai la mattina in sella alla bici nuova e gli anziani del gruppo irriducibili sulle loro front da 100 mm con gomme rigorosamente da 2.1 etichettarono la mia bici da “downhill”!
In tanti criticarono la mia scelta e al tempo ero l’unico convinto della bontà di un mezzo del genere. Mi fa divertire da matti perché come dicevo non eccelle in niente, ma noi biker medi non ne sfruttiamo forse un 60% al massimo di una bici così? Cosa me ne farei di un frustino 100/100 da 9 kg, se non per arrivare esimo, invece che esimo-esimo alla garetta regionale? per non parlare della sensazione di ritrovarsi sulla groppa di un capriolo impazzito in fase di discesa.
Perciò il downcountry in realtà esiste da diverso tempo solo che sta andando di moda solo ora. Per quanto mi riguarda ne sono estremamente felice perché credo sia il segmento che rappresenta al meglio la mountain bike: vuoi spingere in salita? non sarà super leggera ma le geometrie non ti distruggeranno le gambe. Vuoi mollare i freni in discesa? l’escursione più generosa e le geometrie meno orientate alla salita ti faranno divertire con un mezzo agile ma non nervoso. Vuoi farti un viaggio? borse da bike packing e si parte. La polivalenza è la chiave di queste bici e come dico sempre: se dovessi scegliere una sola bici da tenere, sarebbe una xc da 120, o downcountry, chiamatela come vi pare.
3 thoughts on “Downcountry, ovvero come ho sempre inteso il Cross Country”
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